Licenziamento Discriminatorio: Come Riconoscerlo e Difendersi

Scopri come riconoscere un licenziamento discriminatorio, le categorie protette, i diritti dei lavoratori e come difendersi legalmente. Contattaci per una consulenza legale personalizzata.

DIRITTO DEL LAVORODIRITTO CIVILE

Avv. Fabrizio Gentili

5/13/2025

Lo studio ha già affrontato in precedenza il delicato tema del licenziamento spiegando la distinzione tra quello comminato per giusta causa o per giustificato motivo oggettivo (clicca qui per leggere l'articolo). Il licenziamento rappresenta uno degli eventi più significativi nella carriera di un lavoratore, poiché non solo implica la cessazione del rapporto di lavoro, ma può anche avere gravi ripercussioni sul piano economico e personale. Tuttavia, quando un licenziamento avviene in maniera ingiustificata o discriminatoria, si configura come una violazione dei diritti del lavoratore. In Italia, il licenziamento discriminatorio è considerato un atto illecito e, come tale, è severamente punito dalla legge. Questo articolo si propone di analizzare come riconoscere un licenziamento discriminatorio e come difendersi adeguatamente.

Cos'è il licenziamento discriminatorio?

Il licenziamento discriminatorio si verifica quando un datore di lavoro licenzia un dipendente per motivi che non sono legati alla sua condotta professionale o alla necessità organizzativa dell’impresa, ma a ragioni personali, come la razza, il sesso, la religione, l'età, la disabilità o l'orientamento sessuale. La legge italiana tutela fortemente i lavoratori da tale comportamento, riconoscendo che il licenziamento per motivi discriminatori non solo danneggia il dipendente, ma compromette anche il principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione.

I più comuni licenziamenti discriminatori:

I licenziamenti discriminatori vengono comminati spesso per i seguenti motivi:

  1. Discriminazione di genere e sessuale: il licenziamento di un dipendente a causa del suo sesso o orientamento sessuale è uno degli esempi più gravi di discriminazione. Le donne, ad esempio, possono essere vittime di licenziamenti ingiustificati legati alla maternità o alla percezione di una maggiore “fragilità” sul posto di lavoro. Non a caso, sebbene sia una pratica deplorevole, alcuni datori di lavoro, durante i colloqui di lavoro per le assunzioni, chiedono esplicitamente alle lavoratrici se hanno in programma a breve di avere figli.

  2. Discriminazione razziale o etnica: non è raro che i lavoratori vengano licenziati a causa della loro appartenenza a minoranze etniche o razziali. La legislazione italiana, in linea con le direttive europee, vieta espressamente tale comportamento. Lo studio FGLEX ha difeso con successo numerosi lavoratori stranieri, specialmente nell’ambito della ristorazione e dell’edilizia, che sono stati licenziati ingiustamente per motivi discriminatori.

  3. Discriminazione per disabilità: i lavoratori con disabilità sono tutelati da normative specifiche che vietano il licenziamento a causa delle loro condizioni di salute. E’ frequente il caso in cui un lavoratore, in costanza di rapporto, venga colpito da disabilità, e con essa maturi il diritto ad accedere a determinate tutele, come quella di godere di alcuni giorni di esonero dal lavoro per motivi di salute (i c.d. giorni della 104) e, per tale motivo, il datore di lavoro, pretestuosamente, provveda a comminare un licenziamento. Il licenziamento di una persona con disabilità, a meno che non siano soddisfatte precise condizioni di giustificazione, può configurarsi, spesso, come discriminatorio.

  4. Discriminazione sindacale: il licenziamento di un dipendente per la sua adesione, ovvero, più frequentemente, per attività sindacale, può essere considerato come un atto di discriminazione vietato dalla legge. Il sindacalista rappresenta i lavoratori presenti in azienda e, pertanto, svolge una funzione di coordinamento e tutela. In taluni casi, questa figura può risultare “scomoda” per il datore di lavoro che, con una scusa, procederà a risolvere il rapporto di lavoro illegittimamente.

Le categorie protette e la tutela del lavoratore

Le categorie protette sono quelle persone che, a causa di particolari situazioni, godono di una protezione maggiore nel contesto lavorativo. In Italia, le persone con disabilità e i lavoratori che godono della legge 104/92 (relativa alla tutela dei diritti delle persone con disabilità) rientrano tra le categorie protette.

La legge italiana stabilisce che i lavoratori che appartengono a queste categorie non possono essere licenziati senza una giustificazione valida. Se il licenziamento avviene in maniera discriminatoria, il lavoratore può chiedere il reintegro nel posto di lavoro o, in alternativa, un risarcimento economico per il danno subito.

Come riconoscere un licenziamento discriminatorio

Il licenziamento discriminatorio non è sempre facilmente riconoscibile, soprattutto perché i datori di lavoro possono mascherarlo sotto pretesti apparentemente legittimi. Tuttavia, ci sono alcuni segnali che possono indicare la presenza di un licenziamento discriminatorio:

  1. Motivazioni generiche o vaghe: se il datore di lavoro non fornisce una motivazione chiara e concreta per il licenziamento, potrebbe trattarsi di una giustificazione pretestuosa, mascherando la vera causa discriminatoria.

  2. Discriminazione diretta: il lavoratore viene licenziato per il suo sesso, età, disabilità, appartenenza religiosa, razziale o per la sua adesione a un sindacato.

  3. Discriminazione indiretta: se una misura che apparentemente sembra neutra finisce per colpire in maniera sproporzionata una determinata categoria di lavoratori, si può configurare una discriminazione indiretta.

  4. Conflitti precedenti con il datore di lavoro: se il licenziamento avviene dopo un conflitto aperto tra il lavoratore e il datore di lavoro riguardo a questioni di genere, etnia, disabilità, religione o sindacato, è necessario indagare sulla causa del licenziamento.

Come difendersi da un licenziamento discriminatorio

Un lavoratore che ritiene di essere stato licenziato in maniera discriminatoria può intraprendere diverse azioni per difendersi e tutelare i propri diritti:

  1. Contattare un avvocato: un avvocato esperto in diritto del lavoro è fondamentale per comprendere le opzioni legali a disposizione e per intraprendere una causa contro il datore di lavoro.

  2. Fare ricorso al giudice del lavoro: se si ritiene che il licenziamento sia stato discriminatorio, il lavoratore può fare ricorso al giudice del lavoro entro 60 giorni dalla notifica del licenziamento.

  3. Richiedere il reintegro nel posto di lavoro: se il licenziamento è ritenuto discriminatorio, il lavoratore ha diritto al reintegro nel posto di lavoro, a meno che non sia impossibile mantenere il rapporto di lavoro.

  4. Rivendicare un risarcimento danni: in alternativa al reintegro, il lavoratore può chiedere un risarcimento economico per il danno subito, che include il danno biologico, morale ed economico.

                                                                                   FAQ - Domande frequenti 

1. Come posso provare che il mio licenziamento è discriminatorio?
Per provare un licenziamento discriminatorio, è fondamentale raccogliere tutte le prove disponibili: documenti, e-mail, testimonianze di colleghi e qualsiasi altro elemento che possa supportare la tesi che il licenziamento sia stato dovuto a motivi discriminatori.

2. Quanto tempo ho per fare ricorso contro un licenziamento discriminatorio?
Il ricorso deve essere presentato entro 60 giorni dalla notifica del licenziamento.

3. Posso essere licenziato se sono una persona con disabilità?
No, i lavoratori con disabilità sono protetti dalla legge e non possono essere licenziati a meno che non vi siano gravi motivi organizzativi o produttivi che lo giustifichino.

4. Che differenza c'è tra licenziamento discriminatorio e licenziamento ingiustificato?
Il licenziamento ingiustificato avviene senza una valida motivazione, ma non implica necessariamente una discriminazione. Il licenziamento discriminatorio, invece, è sempre motivato da pregiudizi basati su razza, sesso, età, disabilità, religione o orientamento sessuale

5. Il datore di lavoro può licenziare un dipendente durante la maternità o il congedo parentale?
No. La legge vieta espressamente il licenziamento della lavoratrice madre dall’inizio della gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino. Sono previste pochissime eccezioni (es. cessazione dell'attività aziendale) e devono essere autorizzate dall’Ispettorato del Lavoro.

6. Cosa succede se il giudice riconosce che il licenziamento è discriminatorio?
Il giudice può ordinare il reintegro immediato del lavoratore nel suo posto di lavoro e condannare il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria e dei contributi previdenziali non versati.

7. È possibile registrare una conversazione per dimostrare un licenziamento discriminatorio?
Si, solo se il lavoratore partecipa alla conversazione e la registrazione è necessaria per far valere un proprio diritto in sede giudiziaria, può essere considerata ammissibile come prova. Il diritto di difesa, costituzionalmente garantito, è maggiormente tutelato rispetto alla privacy. Tuttavia, è opportuno ricordare che è vietata la diffusione delle registrazioni e, soprattutto, è necessario valutarne l’utilizzo con un avvocato.

8. Il lavoratore con la legge 104 può essere licenziato?
Sì, ma solo per giustificato motivo oggettivo o soggettivo, come per qualunque altro lavoratore. Tuttavia, il licenziamento legato all’utilizzo dei permessi della legge 104 o alla condizione di caregiver è nullo perché discriminatorio.

9. Un licenziamento può essere considerato discriminatorio anche se non espressamente dichiarato?
Sì. Anche in assenza di una dichiarazione esplicita, il licenziamento può essere ritenuto discriminatorio se sussistono elementi oggettivi e circostanze che fanno ragionevolmente presumere un intento discriminatorio.

10. Posso ottenere un risarcimento se non voglio essere reintegrato?
Sì. In alternativa al reintegro, il lavoratore può richiedere un risarcimento.

11. Posso richiedere il danno morale oltre al risarcimento economico?
Sì. Oltre all’indennizzo patrimoniale, il lavoratore può richiedere anche il risarcimento per danno morale e biologico, soprattutto in caso di comprovato stress, umiliazione o pregiudizio alla salute.